SOLO
Ciaccia Levi, Parigi (FR)
Curatela: —
Pittura, Scultura
13.09.24—13.10.24
Teatrino
Teatrino è un progetto espositivo dell’artista italiano Leonardo Devito (Firenze, 1997) realizzato per la sua prima mostra personale negli spazi della Galleria Ciaccia Levi di Parigi. Opere pittoriche e bassi rilievi tessono un racconto dedicato all’immaginario dello spettacolo popolato da attori, personaggi reali o immaginari che mettono in scena delle rappresentazioni in bilico tra un senso tragico del vivere, alienazione, e comicità. Alcuni di questi soggetti, come il trapezista e il digiunatore di Kafka, protagonisti degli ultimi racconti dello scrittore che si realizzano l’uno nell’isolamento sul trapezio e l’altro nell’astinenza dal cibo, fanno della propria vita un’opera, per una devozione all’arte che spesso rimane incompresa al pubblico. Altri soggetti sembrano appartenere all’immaginario fiabesco, catapultati in un tempo astorico. Entrando in mostra, un senso di familiarità pervade la nostra visione che ritrova nel fondo della memoria un gesto, uno sguardo, una storia.
In questa narrazione di un mondo perduto incontriamo diversi riferimenti iconografici, soprattutto nelle opere pittoriche, riconducibili all'immaginario personale dell'artista e a un repertorio di immagini che costituisce un “museo ideale” personale ma al tempo stesso familiare al pubblico, in quanto legato alla storia dell’arte, alla letteratura e ai graffiti. Nelle opere di Devito è evidente un forte legame con la ricerca di alcuni artisti del Novecento, come Mario Sironi e Felice Casorati, o a correnti artistiche come la Metafisica, tuttavia la realtà altra cui l’insieme di elementi insoliti rimanda è identificabile, contemporanea, seppure ambigua, estraniante e alogica. Nelle opere dell’artista, l’inserimento di un dato personale o di un elemento naif, l’utilizzo dell’ironia o di una proporzione sbagliata alleggeriscono la severità della composizione e innescano ripetuti slittamenti linguistici e temporali. I colori accesi dei capelli, le pose rilassate dei soggetti giovani e il loro abbigliamento trasmettono una sensazione di vicinanza al nostro tempo e contrastano con i panneggi e le pieghe di tessuti, le mani e i corpi monumentali spesso non armonici, le scriminature definite, i lineamenti chiaramente riferibili alla fisionomica della scultura, i colori cupi e materici.
Il richiamo più o meno esplicito ad altre produzioni artistiche o l’omaggio verso un altro artista sono pratiche che hanno interessato molte ricerche nel corso dei secoli, comprese quelle delle avanguardie storiche del Novecento. In maniera differente, gli artisti hanno ri-presentato e rappresentato l’antico. Devito, ancora l’antico al presente con un linguaggio ricco di riferimenti e grazie a una struttura plastica che sembra arrestare il tempo dell’azione, colta nella sua immanenza e circoscritta in un spazio visivo e mentale dove l’esterno non rimanda ad altro anche quando da una finestra dechirichiana si vede una porzione di mare (Arrivo dei cagnoloni spazzacamino).
La nostra visione non va oltre ma intercetta quegli elementi estranei all’ordine formale e narrativo che si presentano in maniera quasi epifanica tra le pieghe di un tessuto o su un pavimento, come gli acrobati sui cavalli (Equilibrista) o le orecchie elfiche del Burattinaio. Questi elementi instaurano una relazione inafferrabile con il contesto ma non rimandano a un’altra realtà, ci fanno inabissare nello spazio dell’immaginazione dove il pensiero non si è ancora trasformato in parola, dove i riferimenti si slegano e le forme si liberano, consentendoci di ricominciare il gioco delle associazioni e dei riconoscimenti. Allestiti in continuità con i dipinti, i bassi rilievi sono veri e propri teatrini in miniatura, istantanee tridimensionali che grazie alla loro stessa struttura semichiusa presuppongono un osservatore esterno, oltre al pubblico, spesso presente anche nei dipinti, rendendo più articolato e complesso il rapporto tra vedere e immaginare che proprio il teatro, e il cinema in seguito, hanno portato alla sua massima tensione ed espressione. In questi lavori l’azione è ridotta a un gesto, a un sussurro o a uno sguardo, a un momento di riposo. Le dimensioni minute conferiscono intimità ma non sottraggono forza al trionfo dei due guerrieri-amici che si tengono saldi e fieri su un veliero in mare (Amici all’Avventura) o alla fanciulla che abbraccia la sua paura (Scheletro con Fidanzata). I soggetti dei bassi rilievi somigliano a protagonisti di mitologie epiche ma non sono eroi, sono giovani sognanti in ambientazioni fiabesche che sembrano essersi travestiti per inscenare un nuovo gioco. È il gioco dell’immaginazione in questa pièce, Teatrino, dove il grande burattinaio è l’artista stesso.
Elena Lydia Scipioni
SOLO
The Artist Room, Londra (EN)
Curatela: —
Pittura
31.05.24—30.06.24
Tired City
È difficile immaginare che uno possa abituarsi a vivere in una città come Firenze. Una città dove ci si può incamminare verso Piazza del Duomo e vedere il Campanile di Giotto emergere dalla terra, o camminare lungo l’Arno mentre la luce del sole brilla su Ponte Vecchio. Una città dove i musei ospitano dipinti di Botticelli, Caravaggio e Raffaello e sculture di Bernini e Michelangelo. Una città dove ogni angolo provoca enorme piacere per gli occhi. Per Leonardo Devito, questa è stata la sua realtà quotidiana mentre cresceva circondato dall’imponente storia dell’arte fiorentina.
«Mentre studiavo all’Accademia di Belle Arti a Firenze non ho guardato pitture contemporanee ma solo le cose che c’erano a Firenze», afferma Devito. «Artisti del primo quattrocento toscano, come Fra Angelico o Piero della Francesca, mi hanno formato dal punto di vista dell’immaginario che è sempre presente nella mia attività».
In Rogo, uno dei dipinti esposti nella sua seconda mostra presso The Artist Room a Londra, un uomo è sdraiato a terra e dorme, ignorando la città in fiamme alle sue spalle. Devito dipinge la prospettiva della città con angoli violenti e forti ombre, ricordando la prospettiva convergente utilizzata da artisti rinascimentali, come ad esempio Giotto.
«Non lo faccio apposta», afferma l’artista. «A volte creo dei dipinti e a posteriori mi rendo conto qual’è la matrice di immagini da cui proviene quel tipo di soggetto, forse proviene anche da una memoria nascosta che fa parte del mio imprinting». L’uomo in Rogo è avvolto in un lenzuolo blu mentre i suoi occhi sono coperti da una stoffa più scura e soffice. Devito, quando guardò il dipinto dopo averlo finito, lo accostò alla Ebbrezza di Noè (circa 1515) di Giovanni Bellini. Invece a me le pieghe dettagliate della stoffa blu ricordano le lenzuola scolpite in marmo che avvolgono la statua di Santa Cecilia (1600) di Stefano Maderno a Roma o il velo di marmo che copre il Cristo velato (1753) di Giuseppe Sanmartino a Napoli. «Mi viene naturale riavvicinarmi a quel tipo di immagine», riflette Devito.
«Mi interessa molto il rinascimento ma mi piace anche come il novecento l’ha reinterpretato, ad esempio con Felice Casorati, Giorgio De Chirico e Mario Sironi, per citarne alcuni», afferma Devito. «Sono anche pregno di quel tipo di immaginario e plasticità».
I dipinti che Devito presenta nella mostra «Tired City (Città stanca)» non solo ricordano il romantico rinascimento fiorentino o si riferiscono agli artisti italiani di un passato più recente, ma scorrono direttamente nel nostro presente attraverso l’impronta delle esperienze proprie dell’artista.
La mostra inizia con Demiurgo, un dipinto nel quale un bambino tiene nelle sue mani una scatola rotonda che racchiude un’albero senza foglie. «Da piccolo, durante la ricreazione, giocavo con i miei amici a fare delle casette per degli gnomi», ricorda Devito. «Prendevamo dei bastoncini, li mettevamo per terra e facevamo dei buchi, e tutti giocavamo insieme a “dare vita” agli gnomi». Con l’albero vicino al cuore, il bambino in Demiurgo è immerso nel piccolo mondo che avvolge fra le sue mani, indifferente a quello che si trova alle sue spalle: un orizzonte infinito con le montagne, l’oceano, e il sole che sorge. Quando chiedo a Devito se gli gnomi fossero giocattoli reali, lui ride e mi dice: «No, facevamo finta che esistessero. Era un momento di fantasia condivisa, in cui si creava una sorta di città inventata». Il titolo del dipinto proviene dalla figura filosofica del demiurgo, un essere divino e artigiano dell’universo, introdotto per la prima volta da Platone nel Timeo. Il bambino del dipinto è il demiurgo del piccolo mondo che tiene fra le braccia, come lo era Devito da bambino delle città inventate che creava con i suoi amici durante la ricreazione e come lo è oggi del mondo che materializza con i suoi dipinti nella sua «Città stanca». Dipinto per dipinto, l’artista ci trasporta in un mondo semi-inventato, un immaginario materializzato attraverso gli occhi di un bambino che cresce.
In Primo giardino, più alberi sembrano essere cresciuti nella città rinchiusa e non sono più senza foglie. Eppure, sono tutti traslucidi e sono protetti da tre pupazzetti piccoli e altrettanto traslucidi. «Ho aggiunto quei pupazzetti perché volevo che il dipinto fosse meno serio e più divertente», mi spiega Devito. «Sono come i piccoli giocattoli che trovi negli ovetti Kinder».
La presenza dei “tre pupazzetti Kinder” è quasi impercettibile, quasi nascosti dalle imponenti mura grigio-cemento che racchiudono il mondo degli alberi. I riferimenti a dettagli dell’infanzia non finiscono con i “giocattoli Kinder”.
In Tardo pomeriggio, due adolescenti sono seduti su una panchina, dove uno ha in mano un mazzo di carte mentre l’altro ha una felpa addosso con un disegno quasi sbiadito di un bambino che fa la pipì. Guardando attentamente, la spirale marrone sul retro delle carte ricorda il Gioco di carte di Yu-Gi-Oh! mentre il disegno del bambino che fa la pipì ricorda le decalcomanie popolarmente attaccate sul retro delle macchine o sulle T-shirt di brand come Rams 23 agli inizi degli anni 2000. Con questi piccoli dettagli divertenti, Devito accenna alla specifica ma condivisa esperienza di crescere negli anni 2000. Eppure, li pone in netto contrasto con la fabbrica e il fiume grigiastro che striscia drammaticamente dietro alle spalle dei ragazzi. «Fiume e fabbrica è un po’ il panorama che ho vicino a casa mia in periferia a Firenze», spiega Devito. Lo scontro fra il fumo della fabbrica e i divertenti riferimenti adolescenziali esalta le espressioni indifferenti dei ragazzi mentre fissano come nel vuoto ciò che si trova davanti a loro, oltre i confini del dipinto.
Le espressioni dei protagonisti nei dipinti di Devito si scontrano con ciò che li circonda, avvolgendoli in una sensazione sconcertante. «Non mi piace quando un’immagine è ovviamente felice o ovviamente triste», dice. «Ci deve essere uno scontro fra le due, e quando questo accade, viene creata una certa ambiguità che lascia spazio a qualcosa che deve ancora essere svelato».
In Ricreazione, una oscurità travolge i bambini mentre giocano con la loro città inventata in un momento del giorno scolastico che normalmente sarebbe di divertimento e di piacere. La città immaginaria di Devito diventa un universo alternativo dove mondi sembrano scontrarsi in tutti i sensi, attraverso le emozioni, le esperienze e il tempo.
«È interessante quando, da un punto di vista narrativo, cose del passato si trovano in posti che non hanno nulla a che vedere con loro, come nel film Caravaggio (1987) di Derek Jarman», spiega Devito. Nel film, Jarman crea un ritratto fittizio di Caravaggio includendo scene dove il pittore fuma sigarette o si trova circondato da altri elementi contemporanei che non esistevano durante la sua vita. Eppure, questi elementi sono quasi impercettibili e non sembrano fuori luogo. «Mi piace questo tipo di frammentazioni di periodi», dice Devito.
In Assedio, l’artista dipinge piccoli soldati che sparano con fucili a una nave per proteggere un castello medievale. In teoria, i soldati dovrebbero convivere con il loro ambito medievale, e, tuttavia, si ritrovano nel mondo surreale che crea Devito dove passati molto distanti dialogano facilmente con il presente.
Quando uno cresce da bambino in Italia, spesso questi mondi immaginari si scontrano nella vita reale. «Esiste uno scontro costante tra il presente e il passato nelle città italiane, e la immutabilità delle cose», dice Devito. «Ad esempio Genova, è una città bellissima ma ha quei cavalcavia sgradevoli, o Roma, con i cantieri vicino al Colosseo. È tutto un caos ma poi ti rendi conto che di fronte a te ci sono queste rovine bellissime». La «Città stanca» di Devito si collega alla città italiana, dove elementi sconcertanti della vita reale si scontrano e vengono immaginati nel mondo inventato di un giovane ragazzo. «Collegare questi due mondi e dimensioni opposti, il contrasto fra la modernità e l’antichità, è parte di un immaginario che mi affascina».
Il titolo della mostra prende ispirazione dalle Città invisibili di Italo Calvino. Devito mette insieme il reale con il fantastico, proponendo mondi alternativi dove crescere non deve per forza significare vivere in un mondo più cinico. Proprio come Calvino, che usa la vera figura storica di Marco Polo per immaginare le città nell’impero di Kublai Khan, Devito usa la storia impressa dell’Italia e la sua concezione nei nostri ricordi e li intreccia con le sue esperienze personali per creare la sua «Città stanca».
Dal 2020, Devito vive a Torino circondato dal mondo dell’arte contemporanea del capoluogo piemontese, dove la sua «Città stanca» diventa una maniera per guardare indietro, agli incontri fra i ricordi collettivi, le fantasie immaginarie e le esperienze personali vissute.
«Il mondo dell’infanzia è tutto bello e ricco. È tutto inventato e felice quando sei bambino», dice Devito. «Poi però cresci e tutto si brucia e sparisce». Il viaggio attraverso la «Città stanca» finisce con Bobi fa pipì, dove due uomini anziani guardano oltre le mura per vedere le ultime rovine della loro città inventata. L’unica cosa che rimane è un albero quasi morto, con un cane randagio nero che fa la pipì accanto ad esso. «Sicuramente rimangono alcuni strascichi di quell’infanzia da qualche parte», riflette Devito.
L’indifferente e annoiata espressione che dominava gli uomini durante la loro infanzia e adolescenza mentre costruivano la loro città sembra essere sparita, sostituita invece da un’espressione drammatica e sconvolta. Tutto ciò che è bastato per farli cambiare è stato invecchiare e vedere un cane sporcare gli ultimi strascichi della loro cara città inventata.
GROUP
The Artist Room, Londra (EN)
Curatela: Leonardo Devito
Pittura
18.01.24—17.02.24
Haunted Garden
Il fine della mostra è quello di proporre uno sguardo ad ampio raggio sui giovani pittori italiani formatisi principalmente tra Venezia e Firenze. Penso sia inevitabile vivendo in città come queste non rimanere sterili davanti al patrimonio storico e artistico, non parlo solo dei musei, delle chiese o dei monumenti ma più che altro delle misteriose nostalgie che queste città sanno celare, storie mai vissute e mai viste, visioni vere o immaginarie che si nascondono e sedimentano tra le loro mura, capaci di creare nuovi percorsi e suggestioni legati a una memoria fisica e allo stesso tempo invisibile delle strade, delle piazze e dei luoghi. Gli artisti proposti seppur con ricerche pittoriche molto diverse fanno trapelare dal loro lavoro questa inclinazione al ricordo e alla nostalgia, immagini che hanno bisogno di ricollegarsi alla memoria sia di un vicino presente che di passati remoti e immaginari. Spesso ripescando riferimenti e suggestioni lontanissime. Il titolo stesso della mostra vuole evocare questo: un giardino stregato in cui piante di ogni genere e specie riescono a crescere tra i fantasmi del passato. Come nei lavori di Michele Cesaratto in cui amici e conoscenti dell’artista vengono ritratti in ambientazioni e paesaggi legati ai luoghi d’infanzia dell’artista ma anche memori della pittura del primo Quattrocento italiano, o come nei dipinti di Luca Ceccherini in cui temi e iconografie della pittura del Trecento italiano vengono rappresentati con un linguaggio che porta al limite il confine tra pittura e oggetto rappresentato. O nei lavori di Oxana Tregubova in cui un rapporto sacro e primordiale con la natura viene suggerito con un linguaggio che è memore dell’intimità e dei ricordi personali dell’artista. O come nei lavori di Sofia Massalongo in cui dettagli delicati di gesti e oggetti delle amiche dell’artista assumono attraverso la pittura la sembianze di ricordi lontani semplici e indelebili. O come nei lavori di Miriam Marafioti in cui la città i suoi cambiamenti e le sue sedimentazioni vengono espresse in una pittura di paesaggio che indaga la memoria fisica di luoghi specifici. Il risultato che forse accomuna tutti questi artisti è la creazione di immagini che in fondo rimangono sempre ambigue, non c’è mai nulla di svelato o di esplicitamente “pornografico”, sono immagini reali che cercano di mostrare il nascondiglio di qualcosa di remoto, la memoria di un gesto, di una nostalgia per una giornata particolare o di un mondo lontanissimo appena percepito, in cui facilmente perdiamo di vista il confine tra il reale e magico.
Leonardo Devito
SOLO
Galleria Acappella, Napoli (IT)
Curatela: —
Pittura, scultura
16.04.23—05.06.23
My favourite things
«Poche cose, protette da solide mura, o disseminate nell’ampio paesaggio del Vallese, accompagnano Rilke, come lontane e tenaci abitudini. Vivono nella vastità di un paesaggio metaforico e reale intessuto di mille voci che, insieme, sono partecipi di un’unica, potente melodia». Le parole di cui Sabrina Mori Carmignani si serve per introdurre le riflessioni dello scrittore, poeta e drammaturgo Rainer Maria Rilke attorno alla melodia delle cose, quindi alle emozioni, ai significati e alle sensazioni che vi attribuisce, consentono di individuare la relazione che Leonardo Devito intesse con le sue cose preferite, come dichiara il titolo della mostra. Si tratta, come per Rilke, di un rapporto intimo con le cose, termine che identifica non solo gli oggetti ma anche determinate situazioni e atmosfere accordate insieme in una melodia.
Le opere di Devito intendono restituire il suo legame profondo e solitario con esse, osservate e preservate attentamente nel corso del tempo. La pittura e il bassorilievo non traghettano mai, infatti, atmosfere casuali, al contrario mostrano scenari che hanno radici profonde e lontane, legati alla sua storia personale o a immaginari di cui si sente partecipe, ripresi talvolta dalla letteratura o dall’arte antica, medievale e rinascimentale. Ne è un esempio “Spaghetto a Porta Palazzo”, dipinto calato in un luogo del cuore dell’artista che diviene campo semantico di affetti, memorie, riferimenti puri e sinceri.
A partire da un immaginario o un soggetto, come il noto mercato torinese, Devito predilige dar vita ad una narrazione spontanea lasciando spazio alla propria immaginazione guidata dalla pittura che progressivamente dilata l’immagine mentale, la trasforma e la esaurisce. Il processo artistico risulta così più sincero e spontaneo per l’artista la cui azione dichiaratamente ludica è compiuta su tele e bassorilievi di piccole e medie dimensioni, necessarie per poter cogliere le sue cose preferite nella loro interezza e semplicità. Il carattere disinteressato e ludico pare divenire, in realtà, un espediente di difesa: porgere le proprie cose dell’affetto può affaticare dal momento che implica estrapolarle da sé e lasciare che vengano guardate da fuori, comprenderle senza soccombere alle stesse. Così, il trasformare la loro restituzione pittorica e scultorea in un momento del gioco lascia affiorare una presa di distanza dell’artista, che lo tutela da eventuali smarrimenti emotivi. Il gioco, non a caso, diviene anche soggetto di differenti opere: ne è un esempio “Gormiti” che, recuperando l’estetica bizantina nella resa spaziale, mette in mostra l’adolescenza inerte dinanzi un’infanzia appena terminata, per la quale si prova nostalgia e al contempo urgenza di distacco.
L’intento ultimo di Devito non è quello di creare narrazioni concluse, al contrario lasciare che chi osserva completi la lettura dell’opera attraverso la propria posizione di visione che, articolata e complessa, risveglia memorie e sensazioni lontane.
L’artista ci spinge, quindi, a non lasciar andare le cose con le quali instauriamo una connessione profonda: emblematica, in questo senso, è l’opera “Signori Calabresi”, realizzata a partire dal disegno di una coppia, trovato casualmente, che ha permesso a Devito di far emergere un luogo mentale dell’affetto legato ai nonni, alle lontane origini calabresi, ai colori, all’atmosfera che vi si respira. La sua sensibilità artistica nasce, pertanto, dall’urgenza di restituire il raccolto delle sue cose preferite protette con cura, dapprima delicatamente coltivate.
Laura Di Teodoro
SOLO
The Artist Room, Londra (EN)
Curatela: —
Pittura
23.02.23—18.03.23
Piccolo testamento
«Alcune immagini hanno un significato particolare per me; nascono da esperienze personali o da storie lontane nelle quali mi sento coinvolto o con cui entro in relazione. Quando focalizzo un’immagine significati, analogie, contrasti ed elementi complementari iniziano ad emergere, per poi essere scartati o preservati finché tutto diventa perfettamente limpido». — Leonardo Devito
The Artist Room è lieta di presentare la mostra personale di Leonardo Devito (Firenze 1997), la prima mostra dell’artista nel Regno Unito e all’estero. Accordando allegorie autobiografiche con interessi relativi alla religione e alla letteratura, le opere di Devito nascono da narrazioni avvincenti ideate dall’artista, spesso esplorate attraverso serie di dipinti. Le opere in Piccolo Testamento presentano la storia degli ultimi giorni edonistici trascorsi da un giovane adolescente in fuga in Italia.
Al centro dell’interesse pittorico di Devito vi è il potenziale narrativo delle immagini. Ispirato dalla cultura medievale-cristiana e rinascimentale, nelle quali la creazione di immagini religiose era necessaria per comunicare le Sacre Scritture a un pubblico spesso analfabeta, Devito cerca di riattivare tale capacità peculiare della pittura per traghettare elementi allegorici e moralistici. Di frequente l’artista prende in prestito elementi compositivi propri di artisti precontemporanei, riflettendo su come alcuni eventi storici o favole possano essere assorbiti in termini attuali.
Piccolo Testamento ha inizio con “Prima volta”, un dipinto che rappresenta la prima esperienza di intimità erotica di una giovane coppia. In un presunto stato di euforia e beatitudine, la testa della figura maschile levita lontano dal proprio corpo. In “Pickpockets” la stessa figura, in un’aura apparentemente più tranquilla, è colta nel momento in cui con un amico sta borseggiando un individuo, assente dall’inquadratura, di notte all’interno di una città di mare. In “Caccia” tre cani danno la caccia ai ragazzi in una campagna, mentre i due agenti di polizia che li controllano svaniscono dietro, nei boschi lontani. Nel frattempo, in “Sleeping Thieves” le figure riposano accanto a un cespuglio circondato da insetti spettrali e lucertole.
L’albero al centro del dipinto “Caccia” è visibile in lontananza, a indicare che la polizia è vicina e l’arresto appare imminente. Prima di essere catturato il ragazzo fa un sogno. A tal proposito, “Sogno di un prigioniero” raffigura un cavaliere che appare per salvarlo sconfiggendo un’idra a più teste, posta a guardia delle mura della prigione che lo avrebbe atteso, visibile in lontananza. La struttura del quadro fa riferimento a “Ercole e l’Idra”, un dipinto a tempera su tavola di Antonio del Pollaiolo, ospitato nella Galleria degli Uffizi di Firenze e a San Giorgio e il Drago (1502) di Vittore Carpaccio presso la Scuola di San Giorgio degli Schiavoni di Venezia. “Esecuzione”, l’ultimo dipinto in mostra, prende posto sul lato opposto della parete così come “Sogno di un prigioniero”. In quest’opera il protagonista viene giustiziato da un plotone di esecuzione della polizia, mettendo così fine alla sua fuga. Da un punto di vista strutturale l’opera inverte il dipinto di Édouard Manet “L’esecuzione dell’imperatore Massimiliano” scambiando la posizione del protagonista e di coloro che lo inseguono. A rappresentare la sua morte definitiva vi sono tre piccoli fiori che emergono dal suolo, con il loro colore vivido che riecheggia la vasta montagna rossa visibile all’orizzonte. Se da un lato le opere in mostra possono essere intese come una narrazione unitaria, dall’altra Devito sottolinea come ogni quadro possa essere interpretato individualmente. «Ogni dipinto è una storia incompiuta che lascia allo spettatore la libertà di evocare una particolare narrazione» spiega l’artista. «Allo stesso modo con cui la scrittura nei libri ci lascia la facoltà di creare immagini a seconda di chi siamo». Così nella sua pratica l’artista cerca di relazionare due linguaggi (la scrittura e la pittura) estraendo alcune immagini che preservano determinate peculiarità al fine di definire un certo contesto, «Un’atmosfera e una narrazione non dissimili da quelle proprie della letteratura».
Nell’approcciare il proprio lavoro Devito attinge da varie fonti: i cicli di affreschi italiani del XV secolo; l’atmosfera onirica dei romanzi di Franz Kafka come “Il processo” e “Il castello”, le storie di scrittori italiani come Italo Calvino e Dino Buzzati, la pratica dell’artista americano solitario Henry Darger. I mondi complessi di Devito, che integrano caratteri idiosincratici e riconoscibili (spesso situati in ambienti oscuri e drammatici) sono carichi di simboli e parabole significative tratte dai tempi più antichi sino a quelli contemporanei. Nelle vesti di una storia di maturità individuale, le opere in Piccolo Testamento raccontano una saga familiare, di fiducia che causa conflitto e di quella spirale discendente che conduce a perdersi nel proprio ego.
Laurie Barron
PRESS
SOLO
Osservatorio Futura, Torino (IT)
Curatela: Federico Palumbo
Scultura
19.01.23—20.02.23
Ghost dance
L’ idea della mostra è nata dalla proposta e dal confronto con Osservatorio Futura: spazio indipendente situato nel quartiere San Donato a Torino. Partendo dal presupposto che lo spazio non ha finalità commerciali è nata l’ idea di proporre un lavoro site-specific, con la possibilità quindi di utilizzare medium e modalità di lavoro che di solito non adotto in pittura. Il lavoro proposto dal nome Ghost dance si compone infatti di otto sculture concepite appositamente per lo spazio espositivo, nate con la finalità di creare un’immagine unica. Rappresenta infatti una danza-orazione di un gruppo di fantasmi intorno a un ragazzo disteso per terra. Il senso dell’immagine non è chiaro, si potrebbe trattare di un gruppo di fantasmi in orazione su un ragazzo morto come di una serie di presenze che disturbano una persona nel sonno, su questo aspetto preferivo lasciare il significato ultimo del lavoro indefinito. Essendo lo spazio espositivo composto da un’unica stanza mi interessava proporre un’immagine dal gusto scenico e avvolgente, ho infatti usato idealmente come referenza alcuni gruppi scultorei Quattrocenteschi di scuola Emiliana, primo fra tutti il “Compianto sul Cristo Morto” di Niccolò dell’Arca nella chiesa di Santa Maria della Vita a Bologna.
Quando creo un’immagine mi interessa sempre ragionare a posteriori sul perché ho scelto un determinato soggetto e sul perché l’ho ritenuto particolarmente suggestivo. Diciamo che il tema della morte mi interessa molto specialmente nel suo rapporto con le arti visive e con l’ immagine in generale. Il tema della morte è di fatto intrinseco al linguaggio fotografico: qualsiasi immagine è presenza di un’assenza, e ciò trova la sua massima espressione nelle immagini di persone defunte, che sono rappresentazioni di figure definitivamente assenti nello spazio e nel tempo in cui vengono realizzate. Già nell’antico Egitto il defunto scambiava idealmente il suo corpo fisico e terreno con quello imperituro del ritratto o della maschera funeraria, processo costantemente perpetuato dal rapporto tra le arti visive e i riti funebri. Così, l’immagine diviene rappresentazione e al contempo fantasma dell’oggetto rappresentato e, in questo senso, la scultura del ragazzo segnala contemporaneamente la sua presenza e assenza accolto con una danza dal mondo dell’Altrove.
Leonardo Devito