Il fine della mostra è quello di proporre uno sguardo ad ampio raggio sui giovani pittori italiani formatisi principalmente tra Venezia e Firenze. Penso sia inevitabile vivendo in città come queste non rimanere sterili davanti al patrimonio storico e artistico, non parlo solo dei musei, delle chiese o dei monumenti ma più che altro delle misteriose nostalgie che queste città sanno celare, storie mai vissute e mai viste, visioni vere o immaginarie che si nascondono e sedimentano tra le loro mura, capaci di creare nuovi percorsi e suggestioni legati a una memoria fisica e allo stesso tempo invisibile delle strade, delle piazze e dei luoghi. Gli artisti proposti seppur con ricerche pittoriche molto diverse fanno trapelare dal loro lavoro questa inclinazione al ricordo e alla nostalgia, immagini che hanno bisogno di ricollegarsi alla memoria sia di un vicino presente che di passati remoti e immaginari. Spesso ripescando riferimenti e suggestioni lontanissime. Il titolo stesso della mostra vuole evocare questo: un giardino stregato in cui piante di ogni genere e specie riescono a crescere tra i fantasmi del passato. Come nei lavori di Michele Cesaratto in cui amici e conoscenti dell’artista vengono ritratti in ambientazioni e paesaggi legati ai luoghi d’infanzia dell’artista ma anche memori della pittura del primo Quattrocento italiano, o come nei dipinti di Luca Ceccherini in cui temi e iconografie della pittura del Trecento italiano vengono rappresentati con un linguaggio che porta al limite il confine tra pittura e oggetto rappresentato. O nei lavori di Oxana Tregubova in cui un rapporto sacro e primordiale con la natura viene suggerito con un linguaggio che è memore dell’intimità e dei ricordi personali dell’artista. O come nei lavori di Sofia Massalongo in cui dettagli delicati di gesti e oggetti delle amiche dell’artista assumono attraverso la pittura la sembianze di ricordi lontani semplici e indelebili. O come nei lavori di Miriam Marafioti in cui la città i suoi cambiamenti e le sue sedimentazioni vengono espresse in una pittura di paesaggio che indaga la memoria fisica di luoghi specifici. Il risultato che forse accomuna tutti questi artisti è la creazione di immagini che in fondo rimangono sempre ambigue, non c’è mai nulla di svelato o di esplicitamente “pornografico”, sono immagini reali che cercano di mostrare il nascondiglio di qualcosa di remoto, la memoria di un gesto, di una nostalgia per una giornata particolare o di un mondo lontanissimo appena percepito, in cui facilmente perdiamo di vista il confine tra il reale e magico.
Leonardo Devito
Erik Saglia takes on these considerations for his second solo show to propose an installation, made with his renowned technique. As the result, the entire installation is a Cosmogony of signs and intersecting lines, of vectorial axes, of organized schemes of an unorganized reality, where the intersection of the abscissa and the ordinate organizes the vision of both the Artist and the Man. The visitor is compelled to contemplate it exactly as it happens while observing the cosmos through a telescope. Saglia’s Art is a full-size Portable Cosmogony because it can be carried “within us”.