È difficile immaginare che uno possa abituarsi a vivere in una città come Firenze. Una città dove ci si può incamminare verso Piazza del Duomo e vedere il Campanile di Giotto emergere dalla terra, o camminare lungo l’Arno mentre la luce del sole brilla su Ponte Vecchio. Una città dove i musei ospitano dipinti di Botticelli, Caravaggio e Raffaello e sculture di Bernini e Michelangelo. Una città dove ogni angolo provoca enorme piacere per gli occhi. Per Leonardo Devito, questa è stata la sua realtà quotidiana mentre cresceva circondato dall’imponente storia dell’arte fiorentina.
«Mentre studiavo all’Accademia di Belle Arti a Firenze non ho guardato pitture contemporanee ma solo le cose che c’erano a Firenze», afferma Devito. «Artisti del primo quattrocento toscano, come Fra Angelico o Piero della Francesca, mi hanno formato dal punto di vista dell’immaginario che è sempre presente nella mia attività».
In Rogo, uno dei dipinti esposti nella sua seconda mostra presso The Artist Room a Londra, un uomo è sdraiato a terra e dorme, ignorando la città in fiamme alle sue spalle. Devito dipinge la prospettiva della città con angoli violenti e forti ombre, ricordando la prospettiva convergente utilizzata da artisti rinascimentali, come ad esempio Giotto.
«Non lo faccio apposta», afferma l’artista. «A volte creo dei dipinti e a posteriori mi rendo conto qual’è la matrice di immagini da cui proviene quel tipo di soggetto, forse proviene anche da una memoria nascosta che fa parte del mio imprinting». L’uomo in Rogo è avvolto in un lenzuolo blu mentre i suoi occhi sono coperti da una stoffa più scura e soffice. Devito, quando guardò il dipinto dopo averlo finito, lo accostò alla Ebbrezza di Noè (circa 1515) di Giovanni Bellini. Invece a me le pieghe dettagliate della stoffa blu ricordano le lenzuola scolpite in marmo che avvolgono la statua di Santa Cecilia (1600) di Stefano Maderno a Roma o il velo di marmo che copre il Cristo velato (1753) di Giuseppe Sanmartino a Napoli. «Mi viene naturale riavvicinarmi a quel tipo di immagine», riflette Devito.
«Mi interessa molto il rinascimento ma mi piace anche come il novecento l’ha reinterpretato, ad esempio con Felice Casorati, Giorgio De Chirico e Mario Sironi, per citarne alcuni», afferma Devito. «Sono anche pregno di quel tipo di immaginario e plasticità».
I dipinti che Devito presenta nella mostra «Tired City (Città stanca)» non solo ricordano il romantico rinascimento fiorentino o si riferiscono agli artisti italiani di un passato più recente, ma scorrono direttamente nel nostro presente attraverso l’impronta delle esperienze proprie dell’artista.
La mostra inizia con Demiurgo, un dipinto nel quale un bambino tiene nelle sue mani una scatola rotonda che racchiude un’albero senza foglie. «Da piccolo, durante la ricreazione, giocavo con i miei amici a fare delle casette per degli gnomi», ricorda Devito. «Prendevamo dei bastoncini, li mettevamo per terra e facevamo dei buchi, e tutti giocavamo insieme a “dare vita” agli gnomi». Con l’albero vicino al cuore, il bambino in Demiurgo è immerso nel piccolo mondo che avvolge fra le sue mani, indifferente a quello che si trova alle sue spalle: un orizzonte infinito con le montagne, l’oceano, e il sole che sorge. Quando chiedo a Devito se gli gnomi fossero giocattoli reali, lui ride e mi dice: «No, facevamo finta che esistessero. Era un momento di fantasia condivisa, in cui si creava una sorta di città inventata». Il titolo del dipinto proviene dalla figura filosofica del demiurgo, un essere divino e artigiano dell’universo, introdotto per la prima volta da Platone nel Timeo. Il bambino del dipinto è il demiurgo del piccolo mondo che tiene fra le braccia, come lo era Devito da bambino delle città inventate che creava con i suoi amici durante la ricreazione e come lo è oggi del mondo che materializza con i suoi dipinti nella sua «Città stanca». Dipinto per dipinto, l’artista ci trasporta in un mondo semi-inventato, un immaginario materializzato attraverso gli occhi di un bambino che cresce.
In Primo giardino, più alberi sembrano essere cresciuti nella città rinchiusa e non sono più senza foglie. Eppure, sono tutti traslucidi e sono protetti da tre pupazzetti piccoli e altrettanto traslucidi. «Ho aggiunto quei pupazzetti perché volevo che il dipinto fosse meno serio e più divertente», mi spiega Devito. «Sono come i piccoli giocattoli che trovi negli ovetti Kinder».
La presenza dei “tre pupazzetti Kinder” è quasi impercettibile, quasi nascosti dalle imponenti mura grigio-cemento che racchiudono il mondo degli alberi. I riferimenti a dettagli dell’infanzia non finiscono con i “giocattoli Kinder”.
In Tardo pomeriggio, due adolescenti sono seduti su una panchina, dove uno ha in mano un mazzo di carte mentre l’altro ha una felpa addosso con un disegno quasi sbiadito di un bambino che fa la pipì. Guardando attentamente, la spirale marrone sul retro delle carte ricorda il Gioco di carte di Yu-Gi-Oh! mentre il disegno del bambino che fa la pipì ricorda le decalcomanie popolarmente attaccate sul retro delle macchine o sulle T-shirt di brand come Rams 23 agli inizi degli anni 2000. Con questi piccoli dettagli divertenti, Devito accenna alla specifica ma condivisa esperienza di crescere negli anni 2000. Eppure, li pone in netto contrasto con la fabbrica e il fiume grigiastro che striscia drammaticamente dietro alle spalle dei ragazzi. «Fiume e fabbrica è un po’ il panorama che ho vicino a casa mia in periferia a Firenze», spiega Devito. Lo scontro fra il fumo della fabbrica e i divertenti riferimenti adolescenziali esalta le espressioni indifferenti dei ragazzi mentre fissano come nel vuoto ciò che si trova davanti a loro, oltre i confini del dipinto.
Le espressioni dei protagonisti nei dipinti di Devito si scontrano con ciò che li circonda, avvolgendoli in una sensazione sconcertante. «Non mi piace quando un’immagine è ovviamente felice o ovviamente triste», dice. «Ci deve essere uno scontro fra le due, e quando questo accade, viene creata una certa ambiguità che lascia spazio a qualcosa che deve ancora essere svelato».
In Ricreazione, una oscurità travolge i bambini mentre giocano con la loro città inventata in un momento del giorno scolastico che normalmente sarebbe di divertimento e di piacere. La città immaginaria di Devito diventa un universo alternativo dove mondi sembrano scontrarsi in tutti i sensi, attraverso le emozioni, le esperienze e il tempo.
«È interessante quando, da un punto di vista narrativo, cose del passato si trovano in posti che non hanno nulla a che vedere con loro, come nel film Caravaggio (1987) di Derek Jarman», spiega Devito. Nel film, Jarman crea un ritratto fittizio di Caravaggio includendo scene dove il pittore fuma sigarette o si trova circondato da altri elementi contemporanei che non esistevano durante la sua vita. Eppure, questi elementi sono quasi impercettibili e non sembrano fuori luogo. «Mi piace questo tipo di frammentazioni di periodi», dice Devito.
In Assedio, l’artista dipinge piccoli soldati che sparano con fucili a una nave per proteggere un castello medievale. In teoria, i soldati dovrebbero convivere con il loro ambito medievale, e, tuttavia, si ritrovano nel mondo surreale che crea Devito dove passati molto distanti dialogano facilmente con il presente.
Quando uno cresce da bambino in Italia, spesso questi mondi immaginari si scontrano nella vita reale. «Esiste uno scontro costante tra il presente e il passato nelle città italiane, e la immutabilità delle cose», dice Devito. «Ad esempio Genova, è una città bellissima ma ha quei cavalcavia sgradevoli, o Roma, con i cantieri vicino al Colosseo. È tutto un caos ma poi ti rendi conto che di fronte a te ci sono queste rovine bellissime». La «Città stanca» di Devito si collega alla città italiana, dove elementi sconcertanti della vita reale si scontrano e vengono immaginati nel mondo inventato di un giovane ragazzo. «Collegare questi due mondi e dimensioni opposti, il contrasto fra la modernità e l’antichità, è parte di un immaginario che mi affascina».
Il titolo della mostra prende ispirazione dalle Città invisibili di Italo Calvino. Devito mette insieme il reale con il fantastico, proponendo mondi alternativi dove crescere non deve per forza significare vivere in un mondo più cinico. Proprio come Calvino, che usa la vera figura storica di Marco Polo per immaginare le città nell’impero di Kublai Khan, Devito usa la storia impressa dell’Italia e la sua concezione nei nostri ricordi e li intreccia con le sue esperienze personali per creare la sua «Città stanca».
Dal 2020, Devito vive a Torino circondato dal mondo dell’arte contemporanea del capoluogo piemontese, dove la sua «Città stanca» diventa una maniera per guardare indietro, agli incontri fra i ricordi collettivi, le fantasie immaginarie e le esperienze personali vissute.
«Il mondo dell’infanzia è tutto bello e ricco. È tutto inventato e felice quando sei bambino», dice Devito. «Poi però cresci e tutto si brucia e sparisce». Il viaggio attraverso la «Città stanca» finisce con Bobi fa pipì, dove due uomini anziani guardano oltre le mura per vedere le ultime rovine della loro città inventata. L’unica cosa che rimane è un albero quasi morto, con un cane randagio nero che fa la pipì accanto ad esso. «Sicuramente rimangono alcuni strascichi di quell’infanzia da qualche parte», riflette Devito.
L’indifferente e annoiata espressione che dominava gli uomini durante la loro infanzia e adolescenza mentre costruivano la loro città sembra essere sparita, sostituita invece da un’espressione drammatica e sconvolta. Tutto ciò che è bastato per farli cambiare è stato invecchiare e vedere un cane sporcare gli ultimi strascichi della loro cara città inventata.
Erik Saglia takes on these considerations for his second solo show to propose an installation, made with his renowned technique. As the result, the entire installation is a Cosmogony of signs and intersecting lines, of vectorial axes, of organized schemes of an unorganized reality, where the intersection of the abscissa and the ordinate organizes the vision of both the Artist and the Man. The visitor is compelled to contemplate it exactly as it happens while observing the cosmos through a telescope. Saglia’s Art is a full-size Portable Cosmogony because it can be carried “within us”.